“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti e io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare”. (Bertolt Brecht)

lunedì 11 maggio 2009

Politiche solidali e integrative: il CATTIVISMO



E' desolante assistere a questi continui spettacoli.
Provo un'angoscia infinita nel pensare quanta ingiustizia e quanta crudeltà ci sia nel mondo, non riesco a capire come faccia certa gente a posare la testa sul cuscino la notte e dormire tranquillo.
Non si tratta di far entrare tutti, non si tratta di fermare o non fermare l'immigrazione... dove sono le politiche sociali,quelle sull'integrazione?
Dove sono finiti i progetti Europei , a cui anche l'Italia ha aderito,per aiutare queste persone nei loro Paesi, per dargli un lavoro, un tozzo di pane,un bicchiere di acqua pulita? E' mai possibile che chi guida le istituzioni non sia in grado di porre in essere iniziative che diano risultati?
Ricordo le parole di Maroni del febbraio scorso «Per contrastare l'immigrazione clandestina non bisogna essere buonisti ma cattivi, determinati, per affermare il rigore della legge».Lo disse il ministro intervenendo ad Avellino alla manifestazione «Governincontra».
Queste sono le politiche del SIGNOR MINISTRO e di tutto questo governo: L'ELOGIO AL CATTIVISMO.
Non possono esserci altre soluzioni?

Dall' inviato Fiorenza Sarzanini del Corriere

TRIPOLI- La luce filtra dalle sbarre delle finestre, loro stanno accasciati sulle stuoie, sono scalzi, hanno lo sguardo smarrito. Appena la porticina si apre balzano in piedi, cercano di uscire nel cortile. Vogliono spiegare, raccontare, chiedere aiuto. C’è chi conosce qualche parola di inglese, chi si arrangia con il francese. Hanno la pelle molto scura, la maggior parte sembra provenire dai Paesi dell’Africa subsahariana. I poliziotti li ammassano contro il muro, intimano loro di stare seduti. «Potete parlare, se qualcuno di voi ha qualcosa da chiedere può farlo», gridano. Un ragazzo che dice di avere 16 anni quasi implora: «Mi chiamo Emmanuel, vengo dalla Sierra Leone, i miei genitori sono a Londra. Ero partito per raggiungerli. I soldi per il viaggio me li ha dati mia nonna. Adesso non ho più niente, ma voglio andare da loro. Vi prego ci sarà un modo per riuscire a tornare dì là».
Eccoli gli immigrati che la Libia ha accettato di riprendersi. Mercoledì scorso erano sui barconi intercettati nelle acque maltesi. Nella notte sono stati trasferiti sulle motovedette italiane che hanno effettuato l’operazione di respingimento, provocando un caso internazionale, e sono tornati in porto. Li hanno divisi per nazionalità e ora li tengono in questi stanzoni in attesa di riportarli a casa. Non c’è alcuna speranza che possano rimanere, entro due settimane saranno organizzati i voli per il rientro. E tutto ricomincerà daccapo. Perché, come chiarisce Suleyman, ghanese di 24 anni «noi non possiamo restare in Africa. Vogliamo andare in Europa, raggiungere la Grecia. E prima o poi ci riusciremo. Mettiamo i soldi da parte, lavoriamo per pagare i trasferimenti. Un pezzo di strada per volta fino alla costa. Poi ci imbarcano». C’è chi sogna la Germania, chi sostiene di avere parenti in Italia. Samwi ha 19 anni, gli ultimi quattro mesi li ha trascorsi in un casa di Al Zwara — la cittadina all’estremo sud del Paese dove i mercanti di uomini ammassano la loro «merce» — ad aspettare l’ok degli scafisti. Pensava di esserci riuscito e invece la sua traversata non è durata neanche 100 miglia e si dispera. Traore, 20 anni, tira fuori un documento per dimostrare che lui è già entrato nel programma di protezione per i rifugiati, dice che lo ricevuto ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Ma se gli chiedi come mai era su una di quelle barche non sa rispondere, non è in grado di spiegare perché non ha sfruttato questa occasione per provare ad avere una nuova vita. I centri di accoglienza qui sono gestiti dalla polizia, gli agenti di guardia che chiariscono di aver già avviato le verifiche sul tesserino sostengono che potrebbe essere falso.
I centri di accoglienza sono cinti da un muro alto, circondati dal filo spinato. I portoni sono di ferro, la sorveglianza è affidate alle guardie armate. Non ci sono limiti di permanenza, ma si cerca di non farli restare più di 15 giorni. «Perché — chiarisce il direttore di Twescha — siamo sempre in emergenza, anche in questi giorni ci sono 400 persone in più». Al ministero dell’Interno dicono che in Libia ci sono «almeno un milione e mezzo di stranieri che vuole raggiungere l’Europa. Noi spendiamo ogni anno due miliardi e mezzo di dollari per gestire il fenomeno dell’immigrazione clandestina e non siamo più in grado di sostenere il fenomeno». Abdal Muammed, un alto funzionario della sicurezza che ha trattato con l’Italia l’accordo per effettuare i pattugliamenti congiunti, sa bene quante critiche si siano scatenate dopo le operazioni effettuate in acque internazionali. Ma non appare disposto a subire gli attacchi: «Non credo possibile che qualcuno pensi di aver risolto il problema dell’immigrazione clandestina mandando sei motovedette a controllare il mare. Noi siamo pronti a collaborare con il governo di Roma e lo stiamo dimostrando. Ma è l’Europa che deve farsi carico di questa situazione, avviare quei progetti negli Stati d’origine che promette da anni. E soprattutto, l’Unione deve rispettare gli impegni presi nei mesi scorsi: quando abbiamo condotto la mediazione per liberare le infermiere bulgare, sono stati siglati accordi per l’avvio della sorveglianza radar delle nostre frontiere meridionali. Non ne abbiamo saputo più nulla».
Alla durissima presa di posizione del Vaticano, il rappresentante del governo libico risponde con altrettanta fermezza: «Quando abbiamo allentato i controlli siamo stati accusati di mandare la gente a morire. Ora che abbiamo deciso di potenziarli ci accusano di violare i diritti umani. Noi siamo aperti a tutti i tipi di cooperazione, se volete possiamo portare a piazza San Pietro tutti gli stranieri che le vostre navi hanno portato qui. Bisogna capire che la Libia da sola non ce la fa, queste persone scappano dalla fame, non dalla guerra. La coscienza dell’Europa deve svegliarsi perché noi proveremo a fermare chi affronta il mare per avere una vita migliore, però saremo costretti a fermarci se continueremo ad essere il luogo di transito di tutta l’Africa. E saremo costretti a sospendere i controlli delle frontiere verso l’esterno qualora ci rendessimo conto che il peso migratorio sta diventando troppo pesante».

di Gian Antonio Stella
ROMA - Chissà quanti erano, tra quei clandestini ributtati in Libia, ad avere diritto allo status di rifugiati. Uomini, donne e bambini in fuga da regimi assassini che forse sono già stati ammassati in un container e stanno ora viaggiando attraverso il deserto per esser scaricati in mezzo al Sahara. Bobo Maroni, fiero della scelta, ha detto che se vogliono chiedere asilo possono farlo lì.
Anche in Libia c'è un Cir, un centro italiano per i rifugiati, aperto a tutti», ha detto il ministro dell’Interno. Sapete quante persone ci lavorano? Una. E solo da lunedì. E senza mezzi. E senza il riconoscimento di Tripoli. Che del resto non ha mai riconosciuto manco la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. È chiarissima quella carta ginevrina del 1951. Ha diritto all'asilo chi scappa per il «giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche». Altrettanto netto è l'articolo 10 della Costituzione: «Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Vogliamo prendere una storia a caso, dall'inferno dei campi libici? Ecco quella di una donna eritrea, cristiana, nel documentario «Come un uomo sulla terra» di Andrea Segre: «Ero in prigione con un'amica eritrea incinta, la rabbia le aveva deformato il viso. Il marito cercava di difenderla perché il poliziotto le premeva la pancia col bastone dicendole: 'Hai in pancia un ebreo, andate in Italia e poi in Israele per combattere gli arabi'». Un'altra donna: «Preferivamo morire piuttosto che doverci togliere la croce al collo. Piangevamo, se questa era la volontà di Dio l'accettavamo, ma la croce non la volevamo togliere. Cristiani siamo e cristiani rimarremo. E loro ci sbattevano contro il muro. Mentre gli uomini venivano picchiati noi urlavamo. Gli uomini venivano frustati sotto la pianta dei piedi fino a perdere i sensi».

Situazioni agghiaccianti. Denunciate già nel 2004 da una Missione tecnica in Libia dell'Unione europea, dove si parlava di abusi, arresti arbitrari, deportazioni collettive... Confermate nel febbraio 2006 dalla deposizione del prefetto Mario Mori, il direttore del Sisde, in una audizione al Comitato parlamentare di controllo: «I clandestini vengono accalappiati come cani, messi su furgoncini pick-up e liberati in centri di accoglienza dove i sorveglianti per entrare devono mettere i fazzoletti intorno alla bocca per gli odori nauseabondi...». La visita al centro di accoglienza di Seba lo aveva turbato: «Prevede di ospitare cento persone ma ce ne sono 650, una ammassata sull'altra senza rispetto di alcuna norma igienica e in condizioni terribili».
Per non dire di certe deportazioni nei container blindati come quella raccontata da Anna («Presto sotto il sole di luglio il container diventò un forno, l'aria era sempre più pesante, era buio pesto. I bambini piangevano. Due giorni di viaggio senza niente da bere, né da mangiare. Alcuni bevevano le proprie urine») in «Fuga da Tripoli / Rapporto sulle condizioni dei migranti in transito in Libia», a cura dell'Osservatorio sulle vittime delle migrazioni «Fortress europe». Osservatorio secondo il quale in soli cinque anni «dal 1998 al 2003 più di 14.500 persone sono state abbandonate in mezzo al deserto lungo la frontiera libica con Niger, Ciad, Sudan ed Egitto. Molti deportati, una volta abbandonati nel deserto hanno perso la vita». E per non dire ancora degli stupri, come nella testimonianza di Fatawhit: «Ho visto molte donne violentate nel centro di detenzione di Kufrah. I poliziotti entravano nella stanza, prendevano una donna e la violentavano in gruppo davanti a tutti. Non facevano alcuna distinzione tra donne sposate e donne sole, Molte di loro sono rimaste incinta e molte di loro sono state obbligate a subire un aborto, fatto nella clandestinità, mettendo a forte rischio la propria vita».
Forzature? Lasciamo la risposta al comunicato ufficiale del Servizio Informazione della Chiesa Italiana: «Non possiamo tollerare che le persone rischino la vita, siano torturate e che l'85 per cento delle donne che arrivano a Lampedusa siano state violentate». Per questo i vescovi non hanno dubbi: è «una vergogna» che siano state respinte persone che «hanno già subito delle persecuzioni nei rispettivi Paesi». Posizione ribadita dall'Osservatore Romano: «Preoccupa il fatto che fra i migranti possa esserci chi è nelle condizioni di poter chiedere asilo politico. E si ricorda anzitutto la priorità del dovere di soccorso nei confronti di chi si trova in gravi condizioni di bisogno ».
Questo è il nodo: la scelta di tenere verso gli immigrati in arrivo una posizione più o meno dura, compassionevole o «cattiva», come ha teorizzato tempo fa Maroni, spetta a chi governa. Ed è giusto che sia così. La decisione di «fare di ogni erba un fascio», rifiutare ogni distinzione e respingere chi arriva senza neppure concedergli, per dirla coi vescovi, almeno la possibilità di dimostrare che ha diritto all'asilo, è però un'altra faccenda. Che non solo rinnega una storia piena di esuli politici (da Dante a Mazzini, da Garibaldi ai fratelli Rosselli a don Luigi Sturzo) ma, secondo Laura Boldrini e l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, fa a pezzi le regole vigenti poiché «tutti gli obblighi internazionali» e anche la legge italiana «vietano tassativamente il respingimento di rifugiati o richiedenti asilo».
Quanti erano, su quella barca respinta, quelli che avrebbero avuto diritto ad essere accolti? Risponde Christopher Hein, Direttore del Cir, il Consiglio italiano per i rifugiati: «Generalmente tra i disperati che arrivano a Lampedusa quelli che chiedono diritto d'asilo sono il 70% ma di questi solo la metà ottiene lo status di rifugiato. Gli egiziani o i maghrebini, per esempio, difficilmente lo chiedono. Del resto difficilmente lo otterrebbero. Gli stessi cinesi non lo chiedono mai. Ora, poiché tra i passeggeri di quella nave riportati in Libia non c'erano maghrebini, egiziani o cinesi, è presumibile che almeno il 70% avrebbe chiesto asilo. E di questi, con ogni probabilità, la metà ne aveva diritto. Il che significa che l'Italia ha respinto almeno un centinaio di persone alle quali la nostra Costituzione garantiva il soccorso». Non possono farlo adesso? «La vedo dura. In tutta la Libia, dico tutta (non sappiamo neppure quanti siano i centri libici di detenzione, pare 25) abbiamo una persona. Che si è insediata da quattro giorni. Senza avere ancora il riconoscimento delle autorità. Veda un po’ lei...».

BERLUSCONI_ «Nessuno scandalo» per il caso degli immigrati respinti e ricondotti in Libia. Silvio Berlusconi appoggia la linea dura di Roberto Maroni. E rilancia: «Si deve fare chiarezza sulle due visioni - afferma il presidente del Consiglio. - La sinistra con i suoi precedenti governi aveva aperto le porte ai clandestini provenienti da tutti i Paesi. Quindi l'idea della sinistra era ed è quella di un'Italia multietnica. La nostra idea non è così». Per questo, dice Berlusconi, «non apriremo le porte a tutti come la sinistra». La linea del governo in maniera d'immigrazione è quella dell'«accoglimento solo per chi» ha diritto «all'asilo politico», e cioè «coloro che mettono piede sul nostro suolo, intendendo anche le acque territoriali». Per il resto, prosegue il premier, «vale il nostro diritto di respingere», non si violano «gli accordi internazionali», fermo restando che in mare verranno forniti «tutti i tipi di assistenza».


REAZIONI - Le parole di Berlusconi provocano però la dura reazione dei partiti di opposizione. Critiche arrivano dal Pd. «Sì, noi abbiamo un'idea diversa del'Italia, signor presidente del consiglio: multietnica, pluralista, libera, un paese fondato sul lavoro e sul rispetto - afferma Giovanna Melandri. - Un Paese di persone oneste e sincere che si impegnano in quello che fanno con passione e fatica. Un Paese in cui non conta il colore della pelle, la razza o la religione, ma piuttosto l'onestà e la sincerità del cuore». Federica Morgherini, sempre del Pd, cita qualche esempio: «È il mondo che è diventato multietnico. New York, Londra, Parigi, sono città multietniche. Anche Roma e Milano lo sono. È multietnico il presidente degli Stati Uniti, che avrà senz'altro apprezzato la battuta con cui la sua elezione è stata accolta dal capo del governo italiano, ma guarda caso non ha ancora trovato il tempo per incontrarlo. Ed è multietnica la squadra del Milan, che negli ultimi vent'anni ha schierato giocatori di colore provenienti dall'Olanda, dalla Francia, dal Brasile, dall'Africa». Duro Leoluca Orlando, dell'Italia dei Valori: «Ronde e deportazione ricacciano l'Italia al tempo del nazifascismo. Le ronde sono state nella storia delle dittature il grimaldello per scardinare lo Stato di diritto e per mortificare le forze dell'ordine. Confondere, inoltre, la doverosa difesa dei confini nazionali e l'espulsione dal territorio nel rigoroso rispetto di regole prestabilite con la deportazione è inaccettabile». Secondo Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, le parole di Berlusconi sono «manifestamente xenofobe e discriminatorie».
La Chiesa, dalla Cei alla Caritas, critica la «nuova fase» inaugurata dal ministro Roberto Maroni (Lega) contro i clandestini: «Una decisione inaccettabile, che mette a rischio i diritti fondamentali », attaccano i gesuiti. Sul respingimento dei migranti in Libia, l’Osservatore Romano in una cronaca dà spazio alle accuse dell’Alto commissario dell’Onu per i rifugiati (Unhcr): «Preoccupa — riferisce l’organo della Santa Sede — il fatto che tra i migranti possa esserci chi è nelle condizioni di poter chiedere asilo politico». E per Savino Pezzotta, presidente del Consiglio italiano per i rifugiati, «sono stati violati i diritti umani». Al coro, si uniscono Acli, Migrantes, Comunità di Sant’Egidio, Centro Astalli. Ma non c’è solo la Libia perché, ora, il direttore per la Pastorale dei migranti della Conferenza episcopale italiana, Gianromano Gnesotto, attacca anche sul ddl sicurezza: «Se il reato di immigrazione clandestina non viene modificato subiremo delle conseguenze notevoli anche per quanto riguarda i diritti fondamentali quali la salute o dell’istruzione».



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"L'uomo è uomo quando non è testardo. Quando capisce che deve fare marcia indietro e la fa. Quando riconosce un errore commesso, se ne assume le responsabilità, paga le conseguenze e chiede scusa. Quando riconosce la superiorità di un altro uomo e glielo dice. Quando amministra e valorizza nella stessa misura tanto il suo coraggio quanto la sua paura." (da "Il Sindaco del Rione Sanità" Eduardo De Filippo)

Un pò di cambiamenti

Curando un altro blog di politica "La sinistra che Vogliamo " insieme ad un gruppo di amici blogger,questo blog è in effetti una "fotocopia" dell'altro.Per tale motivo ho deciso di apportare alcuni cambiamenti soprattutto nei contenuti.
La politica analizzata criticamente,secondo il mio punto di vista, sarà sempre presente ma,accanto ad essa cercherò di discutere anche di altre tematiche che riguarderanno la società e l'individuo,il pensiero speculativo antico e moderno,i problemi del nostro tempo che possono anche travalicare il campo della politica come "fatto" in se.
Spero di essere compresa da chi mi legge
B L O G I N
R I S T R U T T U R A Z I O N E

VASCO ROSSI _BASTA POCO_